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Pechino

Non capita tutti i giorni di poter ascoltare una persona con tanta energia e innumerevoli contenuti che abbiamo il dovere di conoscere.

Luca Agoletto è uno sportivo che ha saputo trasformare le avversità della vita in opportunità di crescita: una forza di volontà inesauribile, con il desiderio di spingersi sempre oltre qualunque ostacolo; prima nuotatore e poi canottiere passando attraverso la passione per i cavalli.

Congedato dall’Arma dei Carabinieri dopo l’incidente che nel 2004 gli ha provocato la rottura della gamba destra con frattura multipla esposta e accorciamento dell’arto di 3 cm più la gonartrosi del ginocchio sinistro, Luca scopre che l’adaptive rowing, il canottaggio per le persone con disabilità, significa la rinascita.

Da qui ricomincia la sua vita che lo porta all’apice del successo quando, l’11 settembre 2008, anche giorno del suo 46° compleanno, trasforma il sogno di diventare campione para-olimpico in realtà, conseguendo la medaglia d’oro alle Olimpiadi Para-olimpiche di Pechino.

Luca, partiamo dall’inizio. Come è cominciata la tua storia?

Sono nato a Perugia, nel 1962, ma sono romano di adozione poiché papà fu presto trasferito nella capitale per lavoro. A 17 anni, contro la volontà paterna, feci domanda per entrare nell’Arma dei Carabinieri, quindi a 18 anni ero già reclutato per trasferirmi a Velletri e poi a Firenze.

Quindi dopo sei anni sono entrato nei paracadutisti dell’Arma dove, superati i test, mi arruolarono nei corpi speciali. Trasferito a Milano riuscii a realizzare il mio sogno, ottenendo quello che avrei sempre voluto fare, entrare a far parte del Reparto Operativo Anti- droga dei Carabinieri.

Ho quindi iniziato il periodo dei servizi in borghese dove non andavo neanche più in caserma, lavoravo sempre con i magistrati.

Mi sentivo realizzato, ma purtroppo la vita mi ha presentato una brutta sorpresa: l’incidente in servizio che hai citato mi tra- sformò in un disabile, cambiando la mia vita e togliendomi la possibilità di fare ciò che avevo sempre voluto e ottenuto.

Ero disperato ma papà mi portò a Roma dove un eccellente ortopedico mi consigliò di usare il remoergometro, un simulatore della remata senza gravità adatto a sollecitare il muscolo senza oberare le articolazioni.

Per allenarmi, iniziai, quindi, a frequentare il circolo Aniene dove Riccardo Dezi, diventato poi il mio allenatore, mi propose di iniziare ad esercitarmi sulla barca di canottaggio.

Subito pensai che mi stesse prendendo in giro ma lui mi fece scoprire il mondo para-olimpico come una mia nuova casa.

E così è iniziata la mia seconda vita nel canottaggio professionistico che mi ha portato, in termini di tre anni, a vincere 2 mondiali e qualificarmi per le para-olimpiadi che ho poi vinto con la medaglia d’oro di Pechino nel canottaggio “4 con”.

Spesso, quando succede una disgrazia come quella che ti è capitata, è difficile risollevarsi. Tu ci sei riuscito, anzi, addirittura, sei arrivato ai massimi livelli. Come hai fatto?

Ho subito pensato che dovevo voltare pagina, senza ruminare il passato ma focalizzando- mi sul futuro. Mi avevano offerto di continuare a fare il mio lavoro in ufficio ma quell’offerta non era adatta a me, non ho mai gradito il lavoro di scrivania. In più sono un religioso, in Umbria siamo anche francescani quindi con il senso del sacrificio insito nella fede.

Quindi mi sono dedicato anima e corpo a superare le difficoltà con la forza di volontà; per questo devo ringraziare mio papà che mi ha sempre inculcato l’importanza del rigore e del sacrifico come mezzo indispensabile per raggiungere gli obiettivi.

Ho imparato a dialogare con la solitudine come strumento di fortificazione interiore, il sacrificio senza aiuti esterni, da solo. Da qui è nato l’allenamento della mente per superare la fatica procurata dagli sforzi. Addirittura, se la pratica la fai nell’acqua, è tutto ancor più difficile e faticoso perché ti trovi da solo in un elemento innaturale per l’individuo.

Ho imparato che tutte le disabilità si possono elevare con l’allenamento della mente.

Cerco sempre di insegnare che il disabile deve imparare a stare solo con la sua disabilità, per superarla e scoprire che può riuscire a fare cose che non avrebbe mai pensato di riuscire a fare. È sufficiente far partire tutto dalla testa per arrivare a una crescita mentale che si traduce in risultati fisici eccellenti.

Ma la carriera agonistica l’avevi già preparata quando stavi nell’Arma dei Carabinieri?

Direi proprio di sì. Io venivo già dal nuoto agonistico, fin da piccolo, a Perugia, andavo sempre ad allenarmi in piscina, con due allenamenti al giorno. Mi è sempre piaciuto. Poi, durante la carriera nell’arma, ho continuato ad allenarmi per passione, quindi la predisposizione mi è rimasta dentro. Il professionismo, però, è iniziato dopo, perché all’inizio volevo solo specializzarmi nell’Arma dei Carabinieri.

Oggi mi sono fatto un po’ da parte per dedicarmi ad allenare gli altri, anche i neofiti. Abbiamo creato un’attività Master, sul Tevere, dove alleno persone di tutte le età.

medaglia d'oro (Daniele Signore, Alessandro Franzetti, Luca Agoletto, Paola Protopapa, Paola Grizzetti e Graziana Saccoci)

Tra tutti i titoli che hai vinto qual è quello che ricordi con più soddisfazione? Quello che ti ha lasciato qualcosa di più?

L’oro olimpico, sicuramente, l’eccellenza di tutto. Per arrivare a vincerlo innanzitutto devi qualificarti, quindi il sacrificio per raggiungere l’obiettivo è enorme. Nel canottaggio non si qualifica l’atleta ma la barca, quindi devi fare in modo che sia tutta la squadra a partecipare agli sforzi necessari per vincere.

Un particolare curioso: io sono nato l’11 settembre, la stessa data della tragedia del 2001 che colpì l’America. Io vinsi l’oro a Pechino proprio quel giorno, l’11 settembre 2008 e, caso volle, che la seconda classificata fu proprio l’America. Quando raccontai questa storia gli americani mi elessero l’atleta del secolo…

Sei sposato? Hai famiglia?

Sì, e ho due figli, un maschio e una femmina e una sorella. Il maschio è diventato allenatore di canoa all’Aniene, mentre mia figlia, che vive in Austria, mi ha reso nonno.

Il fatto che mi alleno ancora molto, due / tre ore al giorno, e poi alleno anche gli altri mi porta via molto tempo; ma ho la fortuna di avere una famiglia che è riuscita a capirmi tollerando la poca pre- senza in casa. La famiglia sa sempre dove trovarmi, mi alleno sempre all’Aniene e poi devo dire che lo sport aiuta molto la famiglia.

È sempre stata l’acqua il tuo riferimento?

Sì, ho iniziato col nuoto e poi canottaggio. L’acqua è particolare, non c’è gravità, ti condiziona, ma è stimolante e avvincente. L’equipaggio con cui abbiamo vinto a Pechino aveva a bordo due non vedenti (devono esserci due disabilità, una fisica e l’altra visiva) di cui una era la capo voga.

Il non vedente non ha problemi fisici, ma non vede quindi deve agire sulla base delle percezioni sicuramente portate anche dalla presenza dell’acqua.

Hai degli hobby?

Sono monotematico; l’acqua, il mio hobby è stare in acqua. Ogni tanto vado anche in bici per stare con la mia compagna che ama le due ruote.

Hai un sogno nel cassetto?

Sì, col passare del tempo vorrei riuscire a far parte della Federazione Italiana Canottaggio Para-olimpico. Credo che quell’associazione debba avere un membro che, come me, ha pratiato lo sport per disabili, ora non è così sebbene ci siamo persone preparate. Voglio aiutare gli altri a capire che questo settore deve agire non per proteggere il disabile ma per trattarlo come un normo-dotato.

Cosa non rifaresti?

Nulla. Sono spesso ripartito da zero dopo le avversità, quindi tutto è servito a farmi cre- scere e migliorare.

Parliamo del tuo impegno nel sociale. Hai in programma qualcosa?

Sì. Sono rimasto in contatto con tutti i paraolimpici del mio passato, ci sentiamo e ci confron- tiamo sulle modalità ideali per riuscire a performare al meglio. Io dico sempre che esistono tre valori essenziali: 1o alimentazione, 2o riposo, e 3o allenamento, tre passaggi fondamentali la cui sequenza è essenziale.

Non è vero che basta allenarsi per migliorare, tutt’altro. Senza una par- ticolare attenzione all’alimentazione e al riposo, l’allenamento non servirebbe a nulla. Quindi mi sento di poter dire che l’impegno nel sociale lo attuo divulgando a tutti, professionisti e non, questo mantra di vita che vale per chiunque, non solo per gli sportivi professionisti.

Tu sei nato nuotatore ma l’incidente ti ha reso vogatore? Dove ti ritrovi di più?

Mi è sempre piaciuto misurarmi con lo sforzo fisico, cercare di superare le soglie raggiunte. Questo nel canottaggio mi si addice, posto che stiamo parlando di uno sport veramente impe- gnativo fisicamente. E poi il canottaggio è uno sport meno singolo del nuoto, è più collettivo.

Grazie Luca per averci fatto conoscere il tuo mondo dall’interno.

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