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Collection incontra l’artista visuale contemporaneo, albanese di origine che vive e produce le sue opere a Verona.

Affermatosi in Italia dal 2001, dove espone le sue opere a Torino, Milano e Venezia, si è confermato a livello internazionale con le mostre di New York, Parigi, Shangai, Casablanca e Tel Aviv.

Com’è nata la passione per l’Arte e perché la pittura?

Ho studiato a Tirana dove, inizialmente, facevo lo scultore, poi mi sono dedicato anche alla pittura. Nel mio paese ogni fine anno veniva organizzata una mostra alla quale partecipavano tutti gli artisti della provincia, sia scultori che pittori.

In quell’occasione presentai una scultura, un bassorilievo molto figo, e un dipinto di una natura morta. Quello era l’anno della pittura e la mia natura morta fu comprata per 7.000,00 €. L’acquirente era lo Stato (non esistevano gallerie d’arte private in quel periodo), con queste opere arredava gli uffici del paese.

Ricordo una curiosità, ritrovai, in modo del tutto casuale, la mia natura morta nella ditta in cui lavorava mio padre! Papà ricevette parecchi soldi (più di uno stipendio) e mi comprò un paio di scarpe nuove, ero felicissimo, mi sono sentito utile per la famiglia. Questo mi ha dato il coraggio e lo stimolo di proseguire, è stata una cosa davvero bella, e oggi siamo qua, domani chissà… questa è la mia storia in poche parole.

Come mai l’Italia e perché Verona?

Fino al 2000 sono stato ad Atene dove, per arrangiarmi, facevo il restauratore di icone bizantine. Ci sono arrivato attraversando le montagne a piedi, per giorni e giorni, perché ero un clandestino.

Ma la Grecia mi stava stretta, non riuscivo ad avere ciò che desideravo, non trovavo riscontro per l’arte, la mia passione, cosa che ho trovato in Italia, un paese totalmente diverso. All’inizio lo sbarco in Italia fu complicato, posto che avevo abbandonato il mio studio di artista e ripartire da zero non era semplice.

Ho dovuto adattarmi accettando di fare qualunque lavoro, il falegname, l’operaio montatore di mobili, l’addetto ai traslochi, insomma ho fatto di tutto per sopravvivere. Poi un giorno ho lavorato per un architetto e da quel dì è nata l’dea di aprire il mio studio artistico, sebbene non mi conoscesse ancora nessuno.

Per questo ho cominciato facendo le tele dei telai per artisti famosi, avevo bisogno di garantirmi un sostentamento.

Quali sono le tappe che ti hanno maggiormente segnato come uomo e come artista?

Grazie alla forza di volontà e alla determinazione, ho aperto la mia prima vetrina a Santa Chiara, prima tappa importante della mia carriera, è da lì che è veramente iniziata la mia storia.

Non posso però dimenticare l’incontro casuale che ho avuto con il noto storico dell’arte Philippe Daverio, persona che mi cambiato il modo di pensare, mi ha indotto un’enorme autostima dichiarandomi di essere un astrattista con una marcia in più.

Non hai una frase particolare che ti ha sempre accompagnato, un mantra?

Masochista, come dire “io non sarò mai nessuno ma nessuno sarà mai come me”.

Qual è il tuo colore preferito e che usi maggiormente?

Tutti e nessuno. Quando entro in studio, non penso a un colore preferito, non voglio esse- re schiavo di un colore o dipendere da esso. Potrei dire il verde, ma ho dipinto quadri dove non l’ho mai usato. Per me il colore rappresenta l’anima che esce nel suo preciso momento.

Quindi quando uso un colore non avviene perché l’ho scelto ma perché l’ispirazione del momento mi ha portato a usarlo. Il giorno dopo potrei cambiarlo, magari in funzione di come ho dormito, dallo stato d’animo, questo è l’astrattismo.

Qual è il riconoscimento più importante che hai avuto nella tua carriera fino ad oggi?

Credo di aver vissuto questa emozione il giorno che mi hanno chiesto di dipingere nell’A- rena di Verona, fighissimo. Quell’evento di action painting (avvenuto il 21 giugno del 2020 e che ho battezzato “Eclissi”) mi ha dato sicurezza e autostima, quindi mi sono detto: se sono riuscito a fare questo posso fare qualsiasi altra cosa.

Chi ti aveva contattato per quel progetto?

È partito tutto da una mia iniziativa. In principio il progetto prevedeva la collaborazione con un cantante lirico, ma cammin facendo ho cambiato idea e strada e ho trovato il famoso disc jockey internazionale Benny Benassi per realizzare il mio progetto; volevo dare un segnale di rinascita alla città di Verona e al suo mondo dell’arte. L’Eclissi esprime, con una meta- fora, il momento storico del lockdown, rappresentato con una notte improvvisa, temporanea e anomala che sorprende e inquieta.

Chi è il tuo artista preferito? Jackson Pollock forse?

Non ho un preferito, ne ho tanti, posto che nel giudicare un artista non guardo solo il suo dipinto, ma anche la sua storia. Il primo – e l’ultimo finora (dopo di lui ci sarò io) – è Pablo Picasso; lui è diventato matto, ha rovesciato tutta la storia dell’arte, se non fosse nato un Picasso noi non saremmo nessuno. Diciamo che devo molto anche alla sua storia, al suo modo di dipingere e alla sua libertà.

Tempo fa ti chiesi se ti sentivi ispirato a Jackson Pollock. Mi avevi risposto che non lo conoscevi? Ricordi?

Sì, è vero, non l’avevo mai sentito nominare. Un giorno un amico veronese mi mostrò una sua opera e ricordo di aver esclamato “ma questo mi copia! Ah ah ah!” No, comunque non l’avevo mai sentito prima.

Grazie Agron, alla prossima mostra.

Federico Panigati

Federico Panigati

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